Ringrazio il sig. Ortensio Olivo per questo post.
Il giorno del Superbowl l’America si ferma, per
le settimane precedenti non si parla d’altro, è l’evento singolo più visto al
mondo. Quest’anno si sono contati circa 170 milioni di spettatori, esclusi gli
82566 che affollavano il MeltLife Stadium, la casa dei Giants e dei Jets, le
due franchigie NFL del New Jersey. La sfida più attesa, come sempre in questa
partita, è quella tra i due quarterback, quest’anno in particolare i due
titolari di questo ruolo erano Peyton Manning per i Denver
Broncos, una vera e propria leggenda di questo sport, e l’astro nascente Russel
Wilson per i Seattle Seahawks. Per far capire anche a chi non si intenda di
questo sport, il quarterback è la guida, il faro della squadra, colui che
decide gli schemi offensivi e che ha la responsabilità di mettere in condizione
gli “attaccanti” della squadra di fare un touchdown. Ebbene Manning, 37 anni,
detentore del record di vittorie del titolo MVP (cinque) della NFL più altri
record, contro Wilson, 25 anni e tutto da dimostrare, a parte un talento che
pare indiscusso. C’è un dettaglio, non è di loro che voglio parlare. Il 48esimo
Superbowl sarà ricordato soprattutto per un uomo, Derrick Coleman.
Derrick nasce a Los Angeles, il 18 ottobre 1990. La sua è una famiglia
normale, la sua vita non dovrebbe presentare più problemi di altre e le
possibilità per il futuro sono le più ampie possibili. Ma questa è una storia
americana, anzi la storia del sogno americano, per cui qualcosa all’inizio deve andare storto.
Nel caso del piccolo Derrick
il problema è uno di quelli che rischia di tagliarti le gambe per sempre,
infatti fin dall’età di tre anni il ragazzo da LA risulta affetto da una forma
di sordità grave, che lo renderà semi udente per il resto della vita e che lo
costringerà ad indossare un apparecchio speciale per migliorare il suo udito.
In una scala da 1 a
10, senza questo apparecchio sentirebbe diciamo 2, con l’apparecchio, in
condizioni normali, può arrivare fino a 7. In condizioni normali? Si, ovvero se non
suda (il sudore che gocciola nelle orecchie ridurrebbe l’efficacia di quello
strumento per semi udenti), se non si bagna, e così via. Ma se sei di Los
Angeles, città sportiva se ce n’è una, non puoi non essere patito di basket e di
football. Così, come ogni bambino che vede altri ragazzini giocare con un
pallone, anche lui si avvicina chiedendo di poter fare due tiri o due lanci, ma
la risposta è sempre quella: “Smamma, quattrorecchie”. Questo il soprannome
che, come lui stesso ha dichiarato, gli veniva affibbiato dai coetanei. Quando
tornava a casa piangendo, suo padre gli diceva: “Ricordati, tu puoi sempre
spegnere l’apparecchio e giocare lo stesso.” Non avrebbe dovuto aggiungere
altro, Derrick spegne l’apparecchio e inizia a giocare, sia a basket che a
football, per tutto il periodo dell’High School, senza curarsi delle prese in
giro. Gioca talmente bene che UCLA, una delle più prestigiose
università a livello sportivo dell’intero pianeta, gli offre una borsa di
studio per militare nella loro squadra di football. Ai primi allenamenti con i
nuovi compagni non voleva nè trattamenti di favore per il suo handicap, né
tantomeno subire altre prese in giro, così nasconde il suo apparecchio acustico
sotto una bandana fatta in casa, ricavata con i collant della madre. Più gioca,
più mostra le sue qualità, meno indosserà quella bandana, arrivando nel giro di
due anni e mezzo a segnare 19 touchdown, tutto ciò riuscendo a comprendere solo
il labiale del coach e dei compagni, mostrando un’attitudine nella comprensione
degli schemi non esattamente comune. Siamo alla fine del 2011 e decide di
dichiararsi eleggibile per il Draft NFL del 2012. Lui sta di
fianco al telefono tutto il giorno, ma nessuno chiama. Nessuna squadra lo
vuole. A questo punto tornano drammaticamente d’attualità le parole di uno dei
suoi primi coach: “Sei una causa persa.” Ma se un uomo, semi udente, che supera
a malapena il metro e ottanta, non ha avuto timore di correre addosso a mostri
di due metri che pesano 110
kg, figuratevi se si arrende per una telefonata non
ricevuta. Continua ad allenarsi, continua a contattare squadre, continua a
inseguire il suo sogno. Finalmente quel telefono squilla, e nell’aprile del
2012 Derrick è un giocatore dei Vikings, in Minnesota. Anche qui però il sogno
sembra durare poco perché viene tagliato dopo pochi mesi dalla dirigenza. “Sei
una causa persa”, chissà quante volte gli sarà tornata in mente quella frase.
Ma stavolta la fortuna fa capolino e viene fuori che uno scout di Seattle lo ha
notato, così a dicembre 2012 fa di nuovo la valigia e si trasferisce nello
Stato di Washington, verso la città che ha dato i natali, tra i moltissimi, a
Hendrix, Kurt Cobain, Bill Gates, dove sono nati i Pearl Jam e
i Nirvana. Insomma l’aria che si respira in questa città non è quella che si
respira ovunque. Derrick lo sente subito e si impegna forse come non mai nella
sua vita. Appena arrivato impressiona per il suo talento e la facilità con cui
memorizza gli schemi della squadra, tutto ciò sempre leggendo il labiale. Il
suo primo anno in questa squadra lo passerà interamente in panchina, ma
stavolta non è un’altra porta chiusa in faccia, semplicemente il coach vuole
aspettare che il ragazzo sia pronto, tanto che nel frattempo gli cambia ruolo e
lo fa allenare da full back, ovvero sia il ruolo di coloro che hanno il compito
di proteggere il quarterback, creare spazio per far correre i compagni, o
all’occorrenza correre loro stessi in mezzo alla linea avversaria. La stagione
del 2013 sarà quella dell’esplosione, in questo ruolo colleziona 12 presenze e
un touchdown segnato nella partita che ha portato alla qualificazione
matematica degli Seahawks ai playoff.
La squadra di Seattle il 2 febbraio si è
aggiudicata per la prima volta nella sua storia il Superbowl,
con lo scarto di punteggio più alto di sempre (43-8), e con in campo il primo
giocatore semi udente a disputare e vincere questa competizione. La conclusione
doverosa di questo articolo devono essere le parole che lo stesso Derrick
Coleman ha pronunciato in uno spot in cui racconta la sua esperienza (ora a 15
milioni di visualizzazioni), che ci fanno capire la forza mentale, la
concretezza e la tenacia di questo ragazzo:
“Il tuo problema non può essere la tua scusa.”
DERRICK COLEMAN “QUATTRO ORECCHI”. STORIA DEL GIOCATORE DI FOOTBALL (SORDO)
CHE HA VINTO IL SUPERBOWL di Antonio Gaspari
«Gli allenatori non sapevano come parlarmi, hanno rinunciato a seguirmi mi
dicevano che avrei smesso. Diverse squadre mi hanno rifiutato e mi dissero che
non c’era speranza. Ma sono sordo da quando ho tre anni e così non ho capito»
Tratto
da Zenit.org -
È sordo dall’età di tre anni. A causa dell’apparecchio che portava lo
chiamavano “quattro orecchi”. Sognava di diventare un campione di football
americano, ma era difficile parlargli e lui aveva difficoltà a capire. Gli
allenatori dicevano che era “una causa persa”.E’ arrivato a giocare in campo
professionistico, ma nessuno lo ingaggiava. Deluso, faceva il vice
allenatore in un squadra liceale, finché, l’anno scorso, è stato chiamato
dai Seattle Seahawk. La sua squadra è arrivata in finale e
ieri ha vinto il Superbowl battendo a sorpresa i più
famosi Denver Broncos.
Così il ventiquattrenne Derrick Coleman è il primo atleta non
udente che ha giocato e vinto il Superbowl, la finale della lega
USA di football americano, il più seguito e importante evento sportivo degli
Stati Uniti. I non udenti che hanno giocato a livello professionistico il
football americano sono solo due: Kenny Walker, autore del libro Roar
of Silence, e, negli anni ’70, Bonnie Sloan. Nessuno però era arrivato alle
finali del SuperBowl.
In un video prodotto dalla Duracell,
Coleman racconta: “Mi hanno detto che non sarei riuscito, che ero una causa
persa. Gli allenatori non sapevano come parlarmi, hanno rinunciato a seguirmi
mi dicevano che avrei smesso. Diverse squadre mi hanno rifiutato e mi dissero
che non c’era speranza. Ma sono sordo da quando ho tre anni e così non ho
capito”.
Attualmente Coleman gioca con gli apparecchi sotto il casco. In condizioni
normali durante gli allenamenti, riesce a malapena a percepire quello che gli
viene detto. Durante le partite con il tifo e il chiasso dello stadio, non
sente nulla. Alla domanda su come faccia a capire le indicazione del coach e
dei compagni, Coleman ha risposto: “Se si decide di cambiare modulo di gioco
all’ultimo momento il quarterback si gira verso di me e mi fa leggere il
labiale”. E Coleman è diventato bravissimo a leggere il labiale. La sua
vicenda è straordinaria non solo per la determinazione e le abilità che ha
sviluppato, ma per il coraggio e la speranza che instilla in tutti i non
udenti. Prima della partita del Superbowl è andato in tv per regalare i
preziosi e introvabili biglietti a due ragazze non udenti. Negli incontri
con i ragazzi nelle scuole, il campione ripete quello che è ormai un suo motto:
“Non puoi usare il tuo problema come una scusa. Se lo fai non potrai mai
raggiungere il tuo sogno”.Pete Carroll, allenatore dei Seattle
Seahawks, ha commentato: “Derrick è un ragazzo fantastico e
indipendentemente dai problemi che ha con l’udito, è una persona
straordinaria”. “Nella sua vita – ha aggiunto – ha dimostrato agli altri,
soprattutto a quelli che soffrono dello stesso tipo di problema, che anche se
si è non udenti non ci sono limiti a ciò che si può raggiungere”.
L’allenatore ha concluso affermando che Coleman “è un bravo ragazzo, con
un grande cuore, un ottimo giocatore di football, e ha svolto un lavoro
meraviglioso per i non udenti”.
Senza alcuna vena polemica, solo per correttezza: volevo capire perché del secondo articolo è presente il richiamo al sito da cui è stato preso mentre del primo articolo (tratto dal sito di cui sono condirettore, Contropiede.net) non c'è alcun richiamo.
RispondiEliminahttp://contropiede.net/2014/02/04/il-tuo-problema-non-puo-essere-la-tua-scusa-la-storia-di-derrick-coleman/
Son sicuro sia solamente una involontaria svista.
Cordialmente.
Andrea Rossetti